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Prima che cataloghiate d’istinto questa notizia come una “balla” (e non potrei darvi torto) è opportuno che io specifichi che l’obiettivo a lungo termine del progetto guidato da IBM e finanziato dal governo degli USA è quello di costruire un sistema la cui complessità sia paragonabile a quella del cervello di un gatto; allo scopo la DARPA (vi ricorda qualcosa questo nome? :D) “sborserà” una cifra di ben 4,9 milioni di dollari.
Ok, va bene, prima di proseguire vi rispolvero un po’ la memoria per farvi capire l’importanza della cosa: dobbiamo alla DARPA, la Defense Advanced Research Projects Agency, la stessa Internet; fu infatti alla fine degli anni 60 che venne pubblicato un piano generale per ARPAnet (e indovinate un po’ chi finanziò le ricerche :D), la diretta antenata dell’attuale Rete delle Reti. Ora possiamo tornare a noi :).
La ricerca fa parte di un più ampio campo chiamato cognitive computing e porterà IBM a collaborare con cinque università statunitensi per riuscire ad integrare quanto è noto relativamente ai sistemi biologici reali con i risultati delle simulazioni dei neuroni effettuate dai supercomputer (di cui IBM è un grande produttore): i neuroscienziati che lavorano con animali non complessi hanno scoperto molte cose a livello delle prime funzionalità dei neuroni e su come le sinapsi li collegano; i risultati sono stati dei veri e propri schemi di interconnessione dei cervelli più “semplici”. Da parte loro i supercomputer sono in grado di “emulare” i cervelli di piccoli mammiferi.
Ma il professor Modha, lo scienziato di IBM che è a capo della collaborazione, dice che la vera sfida sarà quella di portare in ambito elettronico quanto verrà appreso dalle future simulazioni. Niente fantascienza, le nanotecnologie sono una realtà e ricordiamo che la scala spaziale in tale contesto è, appunto quella del nanometro: per avere un’idea tenete conto che questa unità di misura è confrontabile con la larghezza del DNA (circa 2,5 nm) ed è la lunghezza di una catena lineare costituita da 6 atomi di carbonio.
Il nuovo approccio differisce da quello classico nelle reti neurali: attualmente, spiega Modha, si parte da un obiettivo e si individua un algoritmo per raggiungerlo; il nuovo target invece è quello di vedere le cose in maniera “inversa”, prima individuando un algoritmo e poi i problemi.
Di fatto le applicazioni di questi dispositivi sarebbero potenzialmente senza limiti.
In realtà la causa dei grattacapi non sono i neuroni artificiali, quanto le sinapsi, che costituiscono il collegamento tra di essi e da cui quindi dipende l’adattabilità del cervello: queste connessioni si formano, si rompono, si consolidano e si indeboliscono in base ai segnali che le attraversano.
Per questo uno degli obiettivi principali del progetto è proprio quello di creare un materiale su scala nanometrica che corrisponda ad una simile descrizione, dato che il cervello è più una rete sinaptica che una rete neurale.
Per il futuro, liberi da qualsiasi vincolo di funzioni esplicitamente programmate, i computer potrebbero raccogliere diverse informazioni, dare loro un peso in base all’esperienza e costruire dunque una memoria.
Di qui il passo ad una forma di ragionamento, quello che noi chiamiamo pensare, probabilmente non sarà più un frutto della (nostra) fantasia, ma una prospettiva reale. Chissà :)
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Fonte | BBC News