Faccio parte di quella categoria di persona che rabbrividisce quando scopre che amici e parenti hanno chiamato il proprio figlio con un nome assurdo. Beh, forse mi sbaglio… Almeno secondo un articolo del Wall Street Journal, che spiega come le persone partano svantaggiate dai nomi troppo comuni. Chiaramente, chi ha un nome banale farà il doppio della fatica ad apparire su Google. Può sembrare una preoccupazione assurda, ma la cosa ha un certo fondamento di buon senso: nel caso abbiate iniziato una vostra attività indipendente, essere in cima alla lista dei risultati, o almeno essere trovati in pochi attimi di scrolling è un fattore veramente importante.
Lo sa bene il musicista AM, che di recente ha iniziato la sua carriera solista. Decisamente non ha pensato alle ripercussioni dovute alle scelta di apparire unicamente con le proprie iniziali… senza contare che ha chiamato AM anche il proprio album di esordio. Solo nell’ultimo periodo, grazie a chissà quale misteriosa alchimia di pubblicità e crawler, ha iniziato ad apparire fra i primi risultati. All’inizio era sepolto da oltre 2 miliardi di voci alternative, e i fan non riuscivano a trovarlo. “Siamo una cultura dell’immediato” diceva “Se non trovi chi cerchi in un paio di minuti, allora lasci perdere”.
Dello stesso avviso Abigail Garvey, ricercatrice, che da quando si è sposata e ha assunto il nome del marito (Wilson), ha visto sparire i suoi articoli dalle pagine di Google. La donna, frustrata, ha deciso di usare il motore di ricerca di Mountain View per scoprire il nome migliore da dare al proprio pargolo, una volta nato. Dopo decine di tentativi, ha scoperto che Kohler Wilson è una combinazione molto originale, che l’avrebbe subito messo in mostra. “Purtroppo” per lei (e per la sorte mediatica del frugoletto), il padre si è opposto, facendo ricadere la scelta sul più semplice Benjamin. Nonostante la minore esposizione sui motori di ricerca, sono piuttosto sicuro che il piccolino in futuro sarà più contento così.
I commenti sono chiusi.