Il settore tecnologico si salverà dalla crisi finanziaria?

[galleria id=”80″]La risposta al mio titolo potrebbe essere scontata, cioè un secco, categorico “no”. Almeno, se stiamo a leggere i risultati finanziari di ieri, un autentico lunedì nero. Ma è giusto cercare di interpretare dei dati tanto parziali nella realtà fondamentalmente misteriosa ed esoterica dei mercati globali?

Come dice Erick Schonfeld di Techcrunch tutti i big del ramo tecnologico si sono beccati una vera e propria badilata sul muso: Google è sceso del 4 per cento, Apple del 6, Microsoft del 5. Sun è sull’orlo dell’abisso, Yahoo! probabilmente aspetta il colpo di grazia, Amazon è in calo violento. L’articolo di Schonfeld chiede pareri ai lettori della sua prestigiosa (ma un po’ antipatica) testata online: credete che sia il momento di approfittare della crisi e di comprare titoli tecnologici aspettandosi enormi guadagni quando il settore si riprenderà (come è successo dopo la crisi dell’11 settembre) oppure che sia semplicemente il caso di fare come tutti e fuggire in preda al panico?
 
Chiaramente, Schonfeld ha già la sua opinione e la tradisce con il linguaggio che definire sensazionalista ed emotivo è poco: nel suo articolo ho trovato un bel campionario di metafore disfattistiche (che qui traduco):

“La crisi è un pugno sul mento”; “caduta libera”; “E’ un bagno di sangue”; “crisi del credito”; “Se l’economia crolla completamente…”; “debacle del credito”; “Il mercato tende sempre a reagire in modo violento ed esagerato al rischio sistematico”; “panico di fronte all’incertezza dell’ignoto”; “meglio correre a rifugiarsi sulle montagne”.

In particolare, devo dire che “bagno di sangue” è la mia preferita :). I commenti lasciati dagli utenti sono però interessanti, e più vari di quanto non crediate: non sono un coro che suggerisce la suddetta “fuga sulle montagne” (colline in Inglese, ma l’Italiano pretende alture più incisive per rendere l’idea). In effetti non mancano coloro che affermano di acquistare azioni di Google e Apple come se fossero in offerta speciale, forse confondendo il crack finanziario per il periodo dei saldi.
 
E se avessero a loro modo ragione? Dopo tutto le suddette azioni delle aziende tech sono state trascinate giù dal resto del mercato. La crisi, quella vera, è del settore finanziario, immobiliare ed assicurativo. Il settore tecnologico non è il bersaglio diretto, questa non è la crisi della bolla speculativa dot-com del 2000. Google e compagnia sono solo “danni collaterali” e su questo son tutti d’accordo.
 
Ma ci sono ragioni per essere ottimisti? Posso darne solo una: la web economy è sorretta dalla pubblicità, e anche durante la crisi del ’29 questo mercato non ha subito grosse flessioni. Anzi, l’unica cosa che ha permesso alle aziende del periodo di sopravvivere è stato arrivare ai cuori e ai cervelli dei clienti tramite le campagne di advertising. E siccome Internet non se ne andrà da nessuna parte, neanche in caso di Grande Depressione, resta questo il mercato più economico ed efficace per pubblicizzare i propri prodotti.
 
Certo, se la recessione ci colpisce ci serviranno fondamentalmente beni di prima necessità e a basso costo. In questo caso, le aziende che producono prodotti premium come Apple non se la caveranno facilmente senza cambiare radicalmente target. Il punto fondamentale è proprio qui: Internet, al contrario degli smartphone, non è più un bene di lusso, ma solo un mezzo di comunicazione di massa come tutti gli altri. Una cosa necessaria alla vita sociale, come lo sono stati giornali, cinema, radio, TV. Se c’è speranza di cavarsela per i big di Silicon Valley e per tutta la web economy è proprio perchè un simile tipo di industria generalmente è in grado di superare le crisi generalizzate.
 
In ogni caso, una volta giunto al termine del mio articolo non vi pongo la stessa domanda di Erick Schonfeld. Mi sembra inutile chiedervi se state comprando azioni di Google & co in questo preciso istante. Non credo proprio che sia facile trovare nel nostro paese un gran numero di individui folli abbastanza da investire nel ramo tecnologico americano (e non) durante un periodo di caduta libera del mercato.

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