Sebbene talvolta ci si senta completamente circondati da persone benestanti, ma che non hanno alcun desiderio di pagare per i programmi che usano, l’Economist descrive una situazione mondiale differente, in cui la pirateria è prevalentemente frutto della povertà. Si calcola che nei paesi poveri i software copiati illegalmente siano in media in vantaggio numerico di nove contro uno:
Le aziende tecnologiche piangono e si lamentano in continuazione a causa della pirateria, e nessuno ne dovrebbe essere essere stupito. L’anno scorso la pirateria ha ingoiato il 35% del mercato mondiale ed è costata all’industria 39,6 miliardi di dollari secondo la Business Software Alliance, una corporazione di mercato. L’America e la Cina sone le prime in termini di quantitativi di perdite, con 7,2 e 5,4 miliardi di dollari rispettivamente. Quando si calcola invece il numero di computer in ogni nazione emerge un’immagine differente. I paesi dall’economia devastata dominano la classifica (il fatto che lo trovino una cosa di cui stupirsi mi lascia un po’ perplesso 😉 NdRammit). Nell’Azerbaijan, il primo della lista, nei computer vengono installati 262 dollari di software piratato in media. Ma l’Islanda è la sorpresa piazzata al secondo posto: anche se il quantitativo di software piratato equivale a soli 32 milioni di dollari, è sparso per pochi computer (gli islandesi sono solo 300.000 NdRammit)
Qualcuno di voi ha qualche amico islandese che ci possa spiegare perchè sono così pirati? O forse, in questo caso, dovremmo definirli “Vikinghi”?
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