Il cosiddetto cybersquatting consiste nella pratica, forse maggiormente diffusa negli Stati Uniti, di registrare dei nomi di dominio contenenti parole famose, di aziende importanti o di personaggi noti al grande pubblico, in modo da assicurarsi la proprietà dell’indirizzo web senza che si abbia il diritto di sfruttamento del nome, per compiere atti di truffe online o per “tenere in ostaggio” il dominio e rivenderlo ad alto prezzo quando il vero proprietario del nome deciderà di acquistarlo.
Questo fenomeno all’inizio della sua espansione ha avuto un grande successo soprattutto in America, ma si è diffuso negli anni nel resto del mondo, Italia compresa. Soprattutto nel 2008 si è registrato un notevole aumento di casi di questo genere, secondo i dati raccolti dalla WIPO, World Intellectual Property Organization, che ha analizzato in modo dettagliato tutte le categorie di appartenenza dei nomi registrati illecitamente.
Durante l’anno scorso sono ben 2.329 i casi di cyberquatting registrati, in forte aumento rispetto ai 2.156 dell’anno precedente. Al primo posto nella classifica dei marchi più copiati ci sono quelli riguardanti il campo farmaceutico, con il 9,9%. Scendendo in classifica troviamo nomi riguardanti banche e tutto ciò che riguarda l’economia, con il 9,4%. Poi c’è il settore internet (8,8%), quello riguardante la ristorazione (7,2%) e il divertimento in generale (6,5%).
Il nostro Paese si trova al settimo posto (con una percentuale del 3,2%) nella lista dei Paesi più colpiti dal fenomeno. Ovviamente, come dicevamo, il primo posto è occupati dagli Stati Uniti, con il 44%.