Uno dei blogger di Repubblica.it ha ricevuto una sorpresa piuttosto spiacevole: un giorno si è svegliato e ha scoperto che la sua password/nome utente di Facebook erano stati disattivati.
Messaggi personali, testi, foto, link e soprattutto 859 contatti: tutto sparito. Un destino riservato a centinaia di utenti di Facebook, un limbo inspiegabile ed inspiegato che Facebook infligge senza dare ragioni. E’ successo a tante persone, anche importante. Al mogul dell’informazione tecnologica Robert Scoble, al giornalista antimafia siciliano Nino Randisi.
Ma il blogger in questione, Vittorio Zambardino, non ci vuole stare, e usa Repubblica.it come grancassa per la sua lotta morale. Beh, morale e giuridica, perchè intende denunciare all’Autorità garante della privacy il fattaccio. Ci sono tutte le ragioni per farlo.
Facebook non ha dato alcuna comunicazione preventiva della cancellazione. Non ha comunicato le ragioni di questa scelta. Non ha dato alcuna risposta alle educate richieste di spiegazioni di Zambardino. Facebook, in effetti, resta un’entità lontana. La sede più vicina del social network è infatti a Dublino.
E poi c’è la questione dei dati: non ci dovrebbero appartenere anche se il network ha deciso di espellerci? Non dovremmo avere almeno il tempo per “fare i bagagli” prima di essere espulsi? O il fatto che il servizio sia gratuito elimina ogni nostro diritto?
Gratuito fino ad un certo punto, dice Zambardino: i nostri stessi dati, la nostra attenzione alla loro pubblicità sono un pagamento indiretto (ma neppure troppo).
Non posso che essere solidale con il blogger di Repubblica: è assurdo cancellare i dati senza preavviso, e senza dare spiegazioni. E se serve l’interesse della nostra magistratura per ottenere chiarezza, beh, Zuckerberg se l’è andata a cercare.
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